SESSA AURUNCA – ‘Lettera ai cappellani militari. Lettera ai giudici’, il libro di don Lorenzo Milani approda in biblioteca
SESSA AURUNCA (Gabriele Bonelli) – Ieri, presso la Biblioteca ” Gaius Lucilius ” di Sessa Aurunca, si è svolto un interessante convegno intorno alla figura del grande Don Lorenzo Milani grazie alla presentazione del suo libro ” Lettera ai cappellani militari. Lettera ai giudici ” espostaci dal professore Sergio Tanzarella. Il dibattito, moderato da Giulia Lettieri, ha reso possibili gli interventi anche del sindaco Silvio Sasso, di Lucia Galdieri, di Roberto Sasso e poi, alla fine del congresso, ha dato spazio a domande da parte
dell’uditorio. Queste alcune parole di Silvio Sasso:” Don Lorenzo Milani fu colui che destò le coscienze. Le nuove generazioni vanno educate con gli strumenti offerti dal prete quali coraggio, capacità di informazione e rinnovamento. Si avverte decisamente la responsabilità di innovazioni positive ”. Lucia Galdieri, del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale, ha ricordato come il prete fosse rimembrato specie per l’opera ” Lettera ad una professoressa ” e dove si delineavano due culture: una per coloro che potevano permettersela e la sottocultura o non cultura per coloro che non potevano usufruire di questa. Inoltre si insiste
su quanto lui fosse dalla parte degli oppressi e su come, data la noncuranza e la passività dilagante di maggior parte della popolazione italiana sotto l’inganno dei regimi durante le due guerre mondiali, una congerie di persone fosse andata incontro alla morte. Si sottolinea pertanto sulla necessità di etica, moralità e soprattutto senso critico, il quale possa rendere consapevoli e partecipi attivamente delle proprie scelte, siano queste di adesione o di non adesione. L’omologazione porta all’appiattimento. Roberto Sasso poi ci pone le riflessioni sulla cultura e l’educazione, specialmente il problema del dialogo e del linguaggio. Don Lorenzo Milani
non voleva libri accademici per pochi eletti e prediligeva la biblioteca aperta per tutti. In effetti molti scrittori, almeno all’epoca, scrivevano in modo molto tecnico affinché gran parte dei loro scritti si staccasse dal resto della massa. Don Milani fu accusato perché aveva affermato che ci si poteva opporre al regime militare. Ci si domanda:” è ancora possibile parlare di obiezione di coscienza?”. Giulia Lettieri ci avverte su come il libro sia un excursus processuale e su come si giochi sulla contrapposizione obbedienza/obiezione. Dopodiché l’intervento di Sergio Tanzarella:” la lezione di Don Milani serve soprattutto ai giovani. L’opera omnia contiene 2950 pagine e si vuole evidenziare come nei salotti televisivi non si conosca di lui praticamente
nulla, tesi avvalorata pure dal fatto che svariate volte gli sono messe in bocca parole non sue. Don Lorenzo Milani ( 1923-1967 ), che appartenne ad una famiglia dell’alta e colta aristocrazia fiorentina, oltre ad essere prete, era anche un ottimo scrittore di lettere, spesso disegnava per vena artistica ed era straordinario nelle interviste per la sua comunicazione incisiva ed immediata. All’età di 20 anni spiazzò tutti i suoi parenti perché non si iscrisse all’Università e andò a Milano come pittore. Successivamente, scelta ancora più incredula per la sua famiglia, entrò in un seminario e dal 1943 iniziò a frequentare persone di più basso rango rispetto all’abitudine di colloquiare con i suoi pari. Nel 1947 divenne prete ma la sua conversione è data da due tappe fondamentali. Iniziò a San Donato di Calenzano in cui c’erano giovani operai italiani che non sapevano però l’italiano, ciò dedotto da un suo esperimento che consistette nel donare loro un giornale che parlava di argomenti
sindacali inerenti al tipo di produzione che effettuavano e fu chiesto di sottolineare tutte le parole che non riconoscevano. Ne venne fuori una sottolineatura totale. Rimasto sbalordito, si soffermò anche sulla condizione sociale difficile dal momento che questi giovani lavoravano a nero e c’era ingiustizia strutturale. La vera realtà spesso è questa, a dispetto della retorica dei partiti. Il prete decise di aprire una scuola nella parrocchia e fornì ai giovani una prima istituzione poiché asseriva pure che per diventare santi non si poteva rimanere allo stato di bestie ed occorreva la fase intermedia del cittadino e di colui che usa efficacemente la parola. Don Milani tolse anche il crocifisso perché poteva rappresentare motivo di divisione dal momento che la scuola doveva funzionare per il credente e il non credente. Nel 1954 venne mandato a Barbiana, luogo quasi impercettibile data la sua assenza nelle cartine geografiche e dove gli abitanti erano circa 100, per di più lontani
fra loro perché sparsi. Qui trovò la seconda conversione e incontrò ragazzi e bambini che passavano il tempo con le pecore e le mucche. Creò una scuola e attuò la più grande rivoluzione educativa d’Europa perché questa struttura scolastica inglobava montanari che erano sempre vissuti in modo marginale e in condizioni estreme. I bambini per andarci e tornare a casa impiegavano un’ora e mezza ma probabilmente quelli furono per loro i giorni più belli. Nel 1965 i cappellani militari espressero il loro disappunto per un gruppo di giovani che non voleva fare la leva militare. Spesso i ribelli venivano reclusi per due/tre anni nella fortezza di Gaeta che era in condizioni pessime per la presenza di parassiti e topi, motivo per cui i prigionieri ne uscivano malati. Don Lorenzo Milani allora, per obiettare, scrisse una lettera in cui enucleò due pilastri: il primo riguardava una necessità di rilettura radicale della storia civile italiana dal momento che la retorica militaresca italiana aveva
fatto sì che gli avvenimenti della guerra venissero giustificati come completamento dell’unione nazionale quando per il prete, invece, gli accadimenti bellici erano stati assolutamente inutili, tranne per ciò che aveva riguardato la Resistenza. In realtà l’Austria nel 1914 voleva scendere a patti con l’Italia e fornire ad essa immediatamente il Trientino per poi discutere sulla situazione di Trieste. Ciò però non bloccò l’azione guerreggiante dell’Italia. La guerra creò danni ingenti nell’economia, nella perdita di vite umane e per il preludio all’avvento del Fascismo. Don Milani è stato sempre fiero avversario anche del colonialismo; il secondo è inerente alla responsabilità per un consenso forzato senza appunto coscienza critica. Si può obbedire se si è consapevoli e allo stesso modo ci si può ribellare se lo si sente davvero. I prezzi della libertà sono: rinunciare
anche ai meriti materiali del proprio ruolo e quello di parlare senza calcoli, ossia respingendo tutto ciò che poteva incoraggiare o smorzare l’incentivo ad un desiderio di azione e riforma. Ripudiava infatti i consigli sulla prudenza. Oggi c’è bisogno di riflettere effettivamente sul fatto che l’Italia avrebbe benissimo potuto evitare una guerra così orripilante. Purtroppo persiste un tradimento della funzione scolastica. Don Lorenzo Milani è stato un prete pericoloso per la sua ricerca della verità e volontà di smascherare le mistificazioni. Bisogna recuperare spesso la condizione complessiva del contesto ambientale anziché soffermarsi sull’esperienza del singolo. Il prete invita fieramente al coraggio. Coloro che vogliono darci una figura differente di costui, mostrano un’immagine contraffatta. Successivamente si ammalò gravemente dal 1960 e nonostante ciò, continuò il percorso intrapreso a Barbiana dove rimase fino all’aprile 1967. L’invito è quello di combattere con la cultura e non con la repressione perché se si promulga una legge che proibisce in modo formale il saluto fascista, si rischia poi di non conoscerne le ragioni e i motivi di una simile scelta, quindi carenza sostanziale. La storia
non deve essere più assunta dal suo tipico punto di vista monotono e ipocrita”. Fine dell’intervento. Per quanto mi riguarda, bisogna capire davvero le fonti e le origini del perché sono avvenute certe cose e non limitarsi ad assimilare inerti il solito fatterello da quattro soldi. La storia, signori miei, è un miscuglio di tensioni psicologiche, sociali, politiche, economiche, e i fatti ( importanti sì, ma la storia non è solo questo altrimenti si parte dall’atto, l’accaduto, senza la ” mamma ” potenza, la causa scatenante, oppure si parte, metaforicamente parlando, dal piacere effimero senza attraversare l’attesa che è più piacevole del piacere stesso ) accadono da queste.
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