BAIA E LATINA – Al Comune la ‘battaglia’ legale contro Stato e Regione, la Corte Costituzionale dà ragione all’ex sindaco Santoro
BAIA E LATINA (Francesco Mantovani) – Si è battuto coraggiosamente contro due avversari ben più agguerriti; il comune di Baia e Latina ha ingaggiato, insieme ad altri piccoli comuni e all’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali, una lotta impari per il riconoscimento innanzi al Giudice delle Leggi delle proprie ragioni, di Ente votato alla tutela della collettività e, prima ancora, del proprio diritto ad esistere e a svolgere con efficacia ed efficienza le funzioni fondamentali. Era il 27 febbraio del 2015 quando la Giunta Comunale di Baia e Latina, presieduta dal Sindaco Michele Santoro, non
nuova ad iniziative del genere (si ricorda ad esempio la diffida al Governo sull’applicazione retroattiva del prelievo i.m.u. sui terreni agricoli) deliberò di aderire, insieme ai Comune di Liveri, di Teora, di Buonalbergo e all’Associazione per la sussidiarietà e la modernizzazione degli Enti Locali A.S.M.E.L., rappresentati e difesi dagli avv.ti Stefano Battini, Benedetto Cimino e Aldo Sandulli, al ricorso contro il Ministero dell’Interno, Prefetto di Napoli, Prefetto di Avellino, Prefetto di Benevento, Prefetto di Caserta, per l’annullamento della nota del Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli affari interni
e territoriali del 12 gennaio 2015 avente ad oggetto l’esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali mediante unioni o convenzioni da parte dei comuni, nonché per l’accertamento negativo dell’obbligo dei comuni ricorrenti di stipulare una convenzione per l’esercizio in forma associata o tramite unione delle proprie funzioni fondamentali. Pochi mesi dopo il T.A.R. di Napoli declinò la propria competenza, in favore del T.A.R. del Lazio di Roma il quale, dapprima richiese
al Ministro dell’Interno una dettagliata relazione e, finalmente, con l’ordinanza 1027 del 20 Gennaio 2017 ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, co. 26-31, D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 30 luglio 2010, n. 122, per contrasto con l’art. 77, comma 2, cost., in relazione alla evidente carenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza legittimanti il ricorso allo strumento decretale d’urgenza; per contrasto con gli artt. 3, 5, 95, 97, 117, comma sesto, 114, 118 cost., con riferimento ai principi di buon
andamento, differenziazione e tutela delle autonomie locali; per violazione dell’art. 117, comma primo, cost. con riferimento all’art. 3 della Carta Europea dell’autonomia locale; per contrasto con gli artt. 133, comma 2, cost., in relazione all’istituzione di nuovi comuni, e con gli artt. 114 e 119 cost., in relazione all’autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali; ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 110 e 111, l. r. Regione Campania n. 16 del 2014 per contrasto con gli artt. 3, 5, 95, 97, 117, comma sesto, 114, 118 cost., disponendo la sospensione parziale del giudizio e l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Nella sentenza del 4 Marzo 2019, adottata alla udienza pubblica dell’8 Gennaio, la Corte Costituzionale ha chiarito che
gli interventi statali in materia di coordinamento della finanza pubblica che incidono sull’autonomia degli enti territoriali devono svolgersi secondo i canoni di proporzionalità e ragionevolezza dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo prefissato. La Corte ha ritenuto censurabile il comportamento del Legislatore statale rispetto ai principi autonomistico, di buon andamento, di differenziazione e adeguatezza, con assorbimento di ogni altro profilo di censura. La previsione generalizzata dell’obbligo di gestione associata per tutte le funzioni fondamentali (ad esclusione della lett. l del comma 27) sconta, infatti, in ogni caso un’eccessiva rigidità, al punto che non consente di considerare tutte quelle situazioni in
cui, a motivo della collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali, la convenzione o l’unione di Comuni non sono idonee a realizzare, mantenendo un adeguato livello di servizi alla popolazione, quei risparmi di spesa che la norma richiama come finalità dell’intera disciplina. Si tratta di situazioni dalla più varia complessità che però meritano attenzione, perché in tutti questi casi, solo esemplificativamente indicati, in cui l’ingegneria legislativa non combacia con la geografia funzionale, il sacrificio imposto all’autonomia comunale non è in grado di raggiungere l’obiettivo cui è diretta la normativa stessa; questa finisce così per imporre un sacrificio non necessario, non superando quindi il test di proporzionalità. Secondo la Corte l’obbligo di gestione in forma associata è pertanto illegittimo nella parte
in cui non prevede la possibilità, in un contesto di comuni obbligati e non, di dimostrare, al fine di ottenere l’esonero dall’obbligo, che a causa della particolare collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali, del comune obbligato, non sono realizzabili, con le forme associative imposte, economie di scala e/o miglioramenti, in termini di efficacia ed efficienza, nell’erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento. Si tratta di un’attenzione a particolari situazioni differenziate che già ha trovato nella normativa censurata una parziale, ma non sufficiente, considerazione, che si rinviene laddove la stessa riconosce due casi meritevoli di totale esonero dall’obbligo – le isole monocomune e il Comune di Campione d’Italia – in base a una ratio univocamente ricollegabile alla inesigibilità dell’obbligo
per le peculiari connotazioni anche geografiche di tali enti locali. La Corte si spinge, inoltre, anche ad un ragionamento di più ampio respiro, ove ritiene che la problematica sottoposta al suo scrutinio induce peraltro a richiamare l’attenzione sui gravi limiti che, rispetto al disegno costituzionale, segnano l’assetto organizzativo dell’autonomia comunale italiana, dove le funzioni fondamentali risultano ancora oggi contingentemente definite con un decreto-legge che tradisce la prevalenza delle ragioni economico finanziarie su quelle ordinamentali. Un aspetto essenziale dell’autonomia municipale è quindi risultato relegato a mero effetto riflesso di altri obiettivi: infatti, nella legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), l’individuazione (provvisoria) delle funzioni fondamentali (art. 21, comma 3) è stata meramente funzionale a
permettere la disciplina del cosiddetto federalismo fiscale; nel d.l. n. 78 del 2010 (in via ancora provvisoria), e nel d.l. n. 95 del 2012 (in via non più provvisoria), essa è stata strumentale a vincolare, per motivi di spending review, i piccoli comuni all’esercizio associato delle funzioni stesse. L’art. 1, commi 110 e 111, della legge reg. Campania n. 16 del 2014, anch’esso annullato dalla Corte è stato ritenuto in contrasto con gli artt. 5 e 114 Cost., nel combinato disposto con l’art. 97 Cost., non risultando dimostrato che l’individuazione ivi contenuta della dimensione territoriale ottimale e omogenea per lo svolgimento delle funzioni fondamentali, di cui al comma 28 dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, sia stata preceduta dalla concertazione con i comuni interessati. Inoltre, appare del tutto evidente che la costituzione di un sistema locale
efficacemente strutturato, al punto da conseguire risparmi di spesa, costituisce un obiettivo non conseguibile una volta pretermessa la voce dei comuni, circostanza che configura un ingiustificato difetto di istruttoria, anche in considerazione dell’art. 97 Cost. La vicenda manifesta, in tutta la sua evidenza, l’esistenza di Enti locali virtuosi, consapevoli del proprio ruolo nel sistema costituzionale, tesi al raggiungimento del benessere per i propri cittadini e non disponibili ad abdicare al proprio ruolo di guida delle più piccole comunità.
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